Il Consiglio di Stato annulla un’altra procedura di gara centralizzata divisa in maxi-lotti per violazione del principio di libera concorrenza

Giurisprudenza

15 dicembre 2017|di Avv. Michele Leonardi

La missione [della centrale di committenza] è di aggregare la ‘domanda’, in senso macroeconomico, dei servizi da appaltare, e non di accorpare gli stessi per un unico esperimento”. Con queste parole il Consiglio di Stato ricorda ad una centrale di committenza regionale (ma il “monito” è senz’altro indirizzato a tutti i soggetti aggregatori attualmente esistenti) il ruolo che la stessa deve svolgere nell’assetto previsto dal legislatore italiano a partire dal 2015 per gli acquisti pubblici di determinati bene e servizi. E tale insegnamento è riportato a chiare lettere nell’ennesima pronuncia della giurisprudenza amministrativa che è andata a demolire dalle fondamenta un’altra procedura di gara aggregata.

La questione di fondo è sempre la stessa: l’errata suddivisione di una gara centralizzata in lotti funzionali eccessivamente consistenti dal punto di vista economico, con conseguente impossibilità di poter prendere parte alla procedura da parte delle piccole e medie imprese, le quali – di fatto – vengono “tagliate fuori” dal mercato di riferimento.

Oggetto di contestazione nel caso affrontato dal Consiglio di Stato – sezione III – con la sentenza n. 5224/2017 dello scorso 13 novembre è stata la procedura di gara per l’affidamento del servizio di pulizia e igiene ambientale e altre servizi in favore di aziende sanitarie indetta dalla centrale regionale di committenza dell’Emilia Romagna, che già aveva subito una prima parziale bocciatura dal TAR Bologna per non aver la stazione appaltante suddiviso in lotti funzionali la procedura stessa (ai sensi dell’art. 51 del nuovo codice), impedendo così la possibilità di accesso alle piccole e medie imprese.

Ritenute errate le argomentazioni svolte dal giudice di primo grado, l’amministrazione ha così deciso di ricorrere in appello per vedere riformata la sentenza del TAR da parte del Consiglio di Stato, risultato in buona parte ottenuto, ma in senso contrario: i giudici di Palazzo Spada hanno infatti ritenuto del tutto illegittima la procedura di gara indetta dalla centrale di committenza. Ma procediamo con ordine.

Il Consiglio di Stato, pur ravvisando dapprima un errore commesso dal giudice di primo grado, il quale aveva ritenuto che la procedura dovesse essere governata dalla regole del nuovo codice, quando invece il bando era stata pubblicato sulla GUCE prima dell’entrata in vigore dello stesso e con conseguente applicazione delle disposizioni di cui al D.Lgs. 163/2006, prende in esame le censure svolte da due imprese operanti nel settore merceologico di riferimento. Queste hanno di fatto lamentato che la mancata suddivisione dell’appalto in lotti funzionali e/o prestazionali abbia comportato una quantificazione spropositata del valore delle prestazioni oggetto di affidamento ed una determinazione dei requisiti di partecipazione (proporzionati al valore posto a base di gara) che ha impedito la partecipazione di determinati operatori economici.

La centrale di committenza, dunque, avrebbe suddiviso l’appalto in lotti su base macro-territoriale accorpando diverse aziende e presidi ospedalieri in violazione dell’obbligo stringente di prevedere una ripartizione dei lotti secondo criteri “funzionali o prestazionali”, comunque idonei ad aprire il mercato alle piccole e medie imprese. I lotti previsti dalla stazione appaltante (oltre che essere di dimensioni economiche eccessivamente elevate) violerebbero inoltre un criterio geografico, essendo state accorpate nel medesimo lotto amministrazioni a notevole distanza l’una dalle altre.

Una delle due imprese controinteressate nell’appello ha inoltre evidenziato come i requisiti richiesti per la presentazione delle offerte ai vari lotti avrebbero di fatto limitato la concorrenza, in quanto la partecipazione alla gara sarebbe stata di fatto limitato a un gruppo ristretto di grandi operatori economici nel mercato di riferimento.

Come già anticipato, il Consiglio di Stato con la sentenza in commento ha ritenuto fondate le argomentazioni delle due imprese, sottolineando innanzitutto come quello di incentivare l’accesso al mercato delle piccole e medie imprese anche mediante la suddivisione degli appalti in lotti sia uno dei cardini su cui si basano le politiche dell’Unione Europea, seguite dal legislatore nazionale con l’adozione di mirati provvedimenti. Si ricorda, ad esempio, l'art. 2, comma 1 bis, dell’abrogato d.lgs. n. 163/2006, il quale prevedeva che “nel rispetto della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici, al fine di favorire l'accesso delle piccole e medie imprese, le stazioni appaltanti devono, ove possibile ed economicamente conveniente, suddividere gli appalti in lotti funzionali…”.

Il collegio, peraltro, prima di entrare nel vivo della questione, non manca di considerare come “la scelta della stazione appaltante circa la suddivisione in lotti di un appalto pubblico, costituisce dunque una decisione normalmente ancorata, nei limiti previsti dall’ordinamento, a valutazioni di carattere tecnico economico. In tali ambiti, il concreto esercizio del potere discrezionale dell'Amministrazione circa la ripartizione dei lotti da conferire mediante gara pubblica deve essere funzionalmente coerente con il bilanciato complesso degli interessi pubblici e privati coinvolti dal procedimento di appalto e resta delimitato … anche dai principi di proporzionalità e di ragionevolezza”.

La decisione di dividere l’appalto in lotti (che sotto la vigenza del precedente codice andava motivata, mentre ora con il nuovo art. 51 del D.Lgs. 50/2016 la suddivisione in lotti è divenuta la regola) non deve pertanto dare luogo a violazioni sostanziali dei principi generali di libera concorrenza, par condicio, non discriminazione e trasparenza. Nel caso di specie, invece, recita testualmente la sentenza, “la suddivisione in lotti di un appalto pubblico è dunque illegittima per la duplice violazione del principio della libera concorrenza sia in senso oggettivo che in senso soggettivo”.

Dal punto di vista oggettivo perché secondo il collegio la suddivisione dei lotti prevista dalla centrale di committenza non era giustificata da ragioni reali. Non vi è, ad esempio, una ragione di convenienza nella frammentazione geografica dei lotti, posto che, come ricordano i giudici, “gli appalti di pulizia sono caratterizzati da una struttura rigida dell’offerta dei concorrenti negli appalti di pulizie connessa al peso assolutamente prevalente del costo del personale, che non consente grandi economie di scala”.

Il giudizio dato dal Consiglio di Stato sulla scelta adottata dalla centrale di committenza dell’Emilia Romagna non lascia spazio a libere interpretazioni: “dalla suddivisione dei lotti in questione emerge con chiarezza l’intento dell’Agenzia Regionale di coinvolgere il minor numero possibile di concorrenti con l’evidente finalità di facilitare l’espletamento della gara ed evitare la notoria proliferazione del contenzioso”.

Ma il collegio non si ferma a tale affermazione e propone invece una lucida analisi sulle conseguenze che possono derivare da un’errata impostazione delle procedure di gara per l’affidamento dei servizi di pulizia. I giudici infatti osservano come “l’esperienza storica di questi ultimi anni ha dato modo di constatare, sotto vari profili, che il ricorso ai maxi lotti per gli appalti di pulizie si è rivelato un rimedio forse peggio del male per la piaga dei ribassi talvolta molto incidenti sui margini operativi delle imprese. Sotto il profilo del buon andamento e dell’efficienza dei servizi prestati, i grandi contratti hanno visto, nell’esperienza del recente passato, il ripetersi di situazioni incidenti negativamente sull’esecuzione in quanto la stessa complessità organizzativa delle prestazioni diffuse in un gran numero di immobili, comporta un naturale “allungamento della catena di comando” nella gestione dell’esecuzione dell’appalto. Non sono nemmeno mancati poi i casi nei quali l’affidatario del contratto era indotto a ripartire comunque le prestazioni tra un grande numero di subappaltatori (talvolta anche al di là dei limiti consentiti) con conseguenti gravi disservizi, proteste degli utenti e risoluzioni per grave negligenza nell’esecuzione contrattuale (a loro volta generatrici di ulteriore contenzioso in sede civile). Inoltre, i grandi appalti sono facilmente permeabili a tentativi di corruzione diretti a determinare gli esiti delle gare, con la creazione di “cartelli” e “sinergie” tra concorrenti o peggio ad infiltrazioni di imprese mafiose vere e proprie. Ed anche al di fuori di questi casi patologici, la partecipazione di poche grandi imprese comporta talvolta il rischio naturale di comportamenti compiacenti o anche solo di un eccessivo “fair play” tra i diversi concorrenti”.

Venendo alla violazione soggettiva del principio di concorrenza, il Consiglio di Stato aderisce alla tesi formulata dalle imprese controinteressate secondo la quale la costituzione di lotti sovradimensionati non può far altro che precludere ingiustificatamente alle piccole e medio imprese la partecipazione alle procedure di gara per l’affidamento del servizio di pulizie.

Il collegio contesta inoltre la composizione dei diversi lotti che, a suo dire, non possono da una parte definirsi in alcun modo “funzionali”, comprendendo gli stessi in alcuni casi amministrazioni del tutto diverse e di grandi dimensioni, e non possono d’altra considerarsi “geograficamente coerenti” “essendo anche a tal proposito evidente l’irragionevolezza e l’illogicità di una ripartizione territorialmente disarticolata di due lotti non omogenei”. La conseguenza di questa errata costruzione dei lotti di cui si componeva la gara poteva essere secondo il Consiglio di Stato soltanto una: “dell’indebita aggregazione di maxi-lotti - quantitativamente ridondanti e territorialmente disarticolati – è evidente che, al di là di ogni cosa, si finiva di fatto per escludere dalla gara una grande parte dei possibili players”, confermando quindi la violazione anche soggettiva del principio di libera concorrenza.

I giudici di Palazzo Spada concludono pertanto affermando che “l’eccessiva dimensione economica ed operativa dei singoli lotti integra dunque una violazione sia del art. 2 bis del d.lgs. n. 163/2006 in base al quale le stazioni appaltanti devono, ove possibile ed economicamente conveniente, suddividere gli appalti in lotti funzionali; e sia dell’art. 6, comma 5 del cit. n. 163/2006 che pone il principio della tutela delle piccole medie imprese attraverso un’adeguata suddivisione degli affidamenti in ‘lotti funzionali’”.

La procedura di gara indetta alla centrale di committenza regionale dell’Emilia Romagna è stata dunque ritenuta illegittima ed il relativo bando annullato per manifesta distorsione della concorrenza.

Forse è arrivato il momento di riconsiderare l’opportunità di demandare ai soggetti aggregatori l’affidamento di determinate tipologie di servizi come quelli di pulizie, posto che i danni creati finora sembrano maggiori rispetto ai vantaggi raccolti.

Leggi il testo integrale della sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, 13.11.2017, n. 5224.