Anche la sola determinabilità dell'oggetto rende valido il contratto di avvalimento

Giurisprudenza

19 aprile 2017|di Avv. Michele Leonardi

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La natura dell’oggetto del contratto di avvalimento riletta con gli “occhi” dei principi contenuti nelle direttive europee sugli appalti pubblici e – di conseguenza – dei principi ispiratori del nuovo codice degli appalti. In questo modo la Sezione II-ter del TAR Lazio ha confermato l'obsolescenza dell’approccio formalistico e caratterizzato da assoluta rigidità in merito alla valutazione dei contenuti del contratto di avvalimento, con particolare riferimento all’oggetto dello stesso.

Il casus belli da cui si è originato il ricorso che ha portato alla pronuncia del TAR capitolino della sentenza n. 4071/2017 del 30 marzo 2017 è piuttosto scolastico: un’impresa svolgente servizi di vigilanza armata si è vista esclusa da una procedura di gara in quanto la stazione appaltante ha ritenuto che il contratto di avvalimento presentato dalla ricorrente per la dimostrazione di alcuni requisiti indicati nel bando di gara non conteneva gli elementi minimi di cui all’art. 88 del D.P.R. 207/2010 (indicazione in modo compiuto, esplicito ed esauriente dell’oggetto – vale a dire le risorse e i mezzi prestati in modo determinato e specifico), ma si limitava esclusivamente a riportare l’impegno dell’ausiliario a mettere a disposizione dell’ausiliato le risorse prestate, “quali meri valori astratti”.

Su posizioni diametralmente opposte si è tuttavia assestato il giudice di prime cure, il quale infatti ha ritenuto fondato il ricorso proposto dalla ricorrente, concludendo quindi per l’illegittimità dell’esclusione della stessa dalla procedura di gara. Nel fare ciò, il TAR ha preso le mosse da una considerazione di ordine generale, evidenziando come “nel nuovo codice degli appalti pubblici e delle concessioni le regole improntate al favor per la concorrenza, e quindi quelle volte a valorizzare l’evidenza pubblica, hanno assunto ancora più rilievo sulla spinta decisiva della giurisprudenza comunitaria formatasi tra il 2006, anno di entrata in vigore del D.Lgs n. 163, ed il 2016 anno di entrata in vigore del D.Lgs n. 50 del 2016”.

L’enfasi in favore del principio di massima concorrenza è risultata talmente chiara negli intenti del Legislatore del nuovo codice degli appalti, tanto da far affermare al Collegio che “mentre il ‘tradizionale’ interesse primario [alla base della previgente normativa codicistica] si regge sul principio di par condicio competitorum, l’interesse centrale su cui poggia l’impalcatura del nuovo Codice è ispirato, invece, al principio del favor partecipationis”, in virtù del quale “si assiste ad una progressiva dequotazione delle carenze che precludono l’accesso alla gara – che non siano quelle tipizzate – in uno con una maggiore latitudine all’applicazione dell’istituto del soccorso istruttorio”.

Tali sono i principi sulla base dei quali l’interprete (rectius – nel caso di specie – il giudice) deve applicare le norme del nuovo codice degli appalti, già peraltro affermati a piena voce dalla sentenza n. 23/2016 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato dello scorso 4 novembre 2016, a cui il TAR – nel dirimere la controversia portata alla sua attenzione – ha inteso aderire completamente. La predetta pronuncia, infatti, nel rifarsi agli indirizzi sostanzialistici espressi dalla più recente giurisprudenza europea, ha accolto la tesi secondo cui “l’oggetto del contratto di avvalimento può essere determinato avuto riguardo al complesso degli elementi risultanti dal contesto del documento, purché risulti univocamente che l’impresa ausiliaria abbia effettivamente messo a disposizione della controparte la propria capacità organizzativa e produttiva”.

Questo perché – nell’ordinamento europeo e, a cascata, in quello italiano – l’istituto dell’avvalimento è stato introdotto al fine di garantire l’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza ed un più facile accesso agli affidamenti pubblici da parte delle piccole e medie imprese. Proprio in ragione di tali obiettivi, l’operatore interno deve innanzitutto obbligarsi ad un’interpretazione della normativa nazionale “euro-conforme” e – soprattutto – non può essere titolato ad introdurre “vincoli e limiti ulteriori e diversi rispetto a quelli che operano in relazione alle analoghe figure del diritto interno”.

Proprio in ragione di tale ultimo divieto, il TAR prosegue nella sua disamina e – proseguendo sempre dal solco segnato dall’Adunanza Plenaria – afferma che “l’individuazione dell’oggetto del contratto di avvalimento non deve sottostare a requisiti ulteriori e più stringenti rispetto a quelli ordinariamente previsti per la generalità dei contratti ai sensi degli articoli 1325 e 1346 e del codice civile”, i quali devono valere anche con riferimento all’interpretazione delle disposizioni contenute nell’art. 88 del D.P.R. 207/2010.

Ora, l’art. 1346 del codice civile (rubricato appunto “Requisiti” riferiti all’oggetto del contratto) stabilisce che l’oggetto deve essere – oltre che possibile e lecito – anche determinato o determinabile. Ciò significa che, tornando all’interpretazione relativa alle norme sul contratto di avvalimento e mancando senza dubbio una norma interna che imponga il requisito della determinatezza dell’oggetto di tale tipologia contrattuale (norma che peraltro potrebbe essere considerata in contrasto con i principi comunitari), “tale requisito non può essere introdotto in via esegetica sicché è ammissibile la determinabilità dello stesso sulla base degli ordinari criteri dell’ermeneutica contrattuale”.

Tutto ciò considerato, il Collegio può in definitiva concludere che “il criterio interpretativo … più aderente al quadro dei principi esposti ed al sistema enucleato dalla Plenaria è, dunque, nel senso che l’articolo 49 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e l’articolo 88 del decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, oggi l’art. 89 del D.Lgs n. 50 del 2016, devono essere letti in relazione all’articolo 47, paragrafo 2 della Direttiva 2004/18/CE il quale osta a che essi siano interpretati in modo da configurare la nullità del contratto di avvalimento in ipotesi in cui una parte dell’oggetto del contratto di avvalimento, pur non essendo puntualmente determinata, sia tuttavia agevolmente determinabile dal tenore complessivo del documento, e ciò anche in applicazione degli articoli 1346, 1363 e 1367 del codice civile”.

Formulato il principio generale che deve guidare nell’interpretazione del caso di specie, i giudici passano quindi all’esame del contenuto del contratto di avvalimento oggetto del ricorso ed evidenziano come lo stesso risulta essere caratterizzato da una sufficiente descrizione dei requisiti di capacità economica e finanziaria messi a disposizione dall’ausiliaria, potendosi altresì agevolmente ricavare in modo diretto le carenze in termini di requisiti da parte dell’impresa ausiliata. I requisiti in questione erano stati peraltro puntualmente autocertificati e autodichiarati dall’impresa ausiliaria e tale documentazione è stata correttamente allegata al contratto e depositata unitamente alla domanda di partecipazione, di talché la lettura congiunta del contratto di avvalimento e di tali dichiarazioni soddisfa – ad avviso del TAR – i requisiti di certezza e di determinabilità dell’oggetto del contratto richiamati dall’art. 1346 del codice civile.

Leggi il testo integrale della sentenza del TAR Lazio, sez. II-ter, 30 marzo 2017, n. 4071.