Esclusione per grave illecito professionale non contestato in giudizio: il Consiglio di Stato porta la questione davanti alla Corte di Giustizia

Giurisprudenza

07 maggio 2018|di Avv. Michele Leonardi

Nella prassi degli ultimi mesi l’applicazione pratica del dettato normativo relativo alla causa di esclusione di cui alla lettera c) del comma 5 dell’art. 80 del Codice ha generato parecchi dubbi e disparità di trattamento nei confronti degli operatori economici, soprattutto in ragione della non sempre lineare interpretazione di tale disposizione anche da parte della giurisprudenza (e delle Linee Guida n. 6 di ANAC, anche a seguito del loro ultimo aggiornamento).

Come sappiamo, la norma prevede la possibilità per le stazioni appaltanti di escludere un operatore economico che si sia reso colpevole di gravi illeciti professionali nell’esecuzione di un precedente contratto, precisando che per grave illecito professionale debbano intendersi anche “le significative carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all'esito di un giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni”.

Le maggiori difficoltà nell’applicazione di questa norma sono sorte proprio in merito alla necessaria “definitività” dalla precedente risoluzione contrattuale per poter procedere all’esclusione dell’operatore economico inadempiente. Un dubbio interpretativo che ha spinto da ultimo il Consiglio di Stato a rimettere la questione, con l’ordinanza 2639/2018 dello scorso 3 maggio, alla Corte di Giustizia Europa.

La vicenda processuale sfociata nell’ordinanza sopra richiamata prende le mosse da una procedura di gara indetta dal Comune di Brescia per l’affidamento del servizio di manutenzione ordinaria del verde pubblico comunale, la quale veniva indetta a causa della risoluzione contrattuale intervenuta con il precedente gestore e in conseguenza dell’esito negativo dell’interpello degli operatori economici che seguivano in graduatoria per il subentro nel contratto.

Alla nuova procedura presentava offerta anche il precedente gestore, specificando di non incorrere nella causa di esclusione di cui all’art. 80, co. 5, lett. c), del Codice, in quanto la risoluzione era stata contestata in sede civile. La stazione appaltante escludeva tuttavia il concorrente, precisando che l’esclusione era giustificata sulla base del disposto della norma sopra richiamata nonché di quanto previsto dalla lett. a) del medesimo comma, essendo stata dimostrata la sussistenza di gravi infrazioni alle norme in materia di sicurezza sul lavoro.

L’operatore economico presentava dunque ricorso avverso l’esclusione avanti il TAR Brescia, giudizio che si concludeva con la sentenza n. 1246/2017 del 17 ottobre 2017, mediante la quale veniva respinto il ricorso sulla base delle seguenti considerazioni:

  • il contratto oggetto di affidamento è il medesimo per il quale era intervenuta la precedente risoluzione;
  • pur essendo fondato il motivo sulla illegittima esclusione ai sensi dell’art. 80, co. 5, lett. c), il provvedimento espulsivo è fondato anche sulla ragione dell’esclusione di cui alla lett. a) del medesimo comma;
  • la stazione appaltante può accertare con qualsiasi mezzo le cause di esclusione di cui alla lett. a), anche qualora queste coincidano con i motivi che hanno condotto alla risoluzione del rapporto contrattuale.

La sentenza del TAR è stata quindi appellata dal concorrente escluso, il quale ha evidenziato ancora una volta l’illegittimità del provvedimento espulsivo della stazione appaltante, posto che le gravi infrazioni accertate in materia di sicurezza sul lavoro avevano condotto l’amministrazione a risolvere il contratto, risoluzione tuttavia contestata prontamente in giudizio. La risoluzione quindi non risultava essere definitiva, come invece, secondo quanto sostenuto dal ricorrente, richiesto dall’art. 80, comma 5, lett. c).

Il Consiglio di Stato ritiene dunque di dover valutare “se la stazione appaltante ha il potere di escludere un operatore economico – già suo contraente in precedente contratto di appalto conclusosi con la risoluzione anticipata – se la risoluzione è stata oggetto di contestazione in giudizio e prima che il giudizio sia definito” e nel fare ciò prende le mosse innanzitutto da quanto previsto dal diritto nazionale e, soprattutto, dalla giurisprudenza creatasi nel tempo.

In particolare, i giudici di Palazzo Spada evidenziano come nella sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 1955/2017 fosse stato affermato che l’interpretazione letterale della lett. c) del comma 8 dell’art. 80 imponeva che solo una risoluzione contrattuale per la quale fosse stata prestata acquiescenza ovvero fosse stata confermata in giudizio avrebbe potuto dar luogo ad un’esclusione. Tuttavia, sempre la sezione V, con successiva pronuncia del marzo scorso (la n. 1299/2018), ha invece affermato che l’elencazione dei gravi illeciti professionali contenuta nella lett. c) debba considerarsi solo esemplificativa e che quindi possa costituire mezzo adeguato di dimostrazione dell’illecito anche il provvedimento esecutivo di risoluzione non ancora passato in giudicato.

A questo punto il Collegio ravvisa una disomogeneità tra la norma interna e quella euro-unitaria, con particolare riferimento innanzitutto all’art. 57, par. 4, della Direttiva 2014/24/UE, il quale stabilisce che le amministrazioni appaltanti possono escludere gli operatori economici “se l'amministrazione aggiudicatrice può dimostrare con mezzi adeguati che l'operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, il che rende dubbia la sua integrità”.

Tale norma va peraltro letta in coordinamento con quanto previsto dal Considerando n. 101 della Direttiva, a mente del quale “è opportuno chiarire che una grave violazione dei doveri professionali può mettere in discussione l'integrità di un operatore economico e dunque rendere quest'ultimo inidoneo ad ottenere l'aggiudicazione di un appalto pubblico indipendentemente dal fatto che abbia per il resto la capacità tecnica ed economica per l'esecuzione dell'appalto. Tenendo presente che l'amministrazione aggiudicatrice sarà responsabile per le conseguenze di una sua eventuale decisione erronea, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero anche mantenere la facoltà di ritenere che vi sia stata grave violazione dei doveri professionali qualora, prima che sia stata presa una decisione definitiva e vincolante sulla presenza di motivi di esclusione obbligatori, possano dimostrare con qualsiasi mezzo idoneo che l'operatore economico ha violato i suoi obblighi, inclusi quelli relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali, salvo disposizioni contrarie del diritto nazionale”.

Secondo il Collegio, quindi, il legislatore europeo ha ritenuto di consentire l’esclusione dell’operatore economico se la stazione appaltante è in condizione di dimostrare la sussistenza di un grave illecito professionale indipendentemente dall’accertamento definitivo dei motivi che possono condurre all’esclusione stessa, in netto contrasto con quanto invece previsto dal legislatore interno.

La conseguenza di tale antinomia è “la necessaria subordinazione dell’azione amministrativa agli esiti del giudizio”: circostanza astrattamente comprensibile ma incompatibile con i tempi dell’azione amministrativa stessa. Il Consiglio di Stato infatti osserva che “risolto il contratto per grave inadempimento dell’operatore economico, l’amministrazione dovrà indire una nuova procedura di gara per concludere un nuovo contratto; all’operatore economico inadempiente sarà sufficiente contestare in giudizio la risoluzione per ottenere l’ingresso nella nuova procedura, dovendo l’amministrazione attendere l’esito del giudizio per poter procedere legittimamente alla sua esclusione”.

Con una conseguenza davvero singolare per l’amministrazione: essa infatti si troverà a “dover valutare in maniera imparziale un operatore economico che aveva già giudicato inaffidabile tanto da aver risolto il precedente contratto con lo stesso stipulato” e non potrà di conseguenza assumersi la responsabilità nella decisione di escludere il concorrente, dovendo comunque attendere l’esito del giudizio.

Il Collegio non manca quindi di osservare che se da un lato l’intento del legislatore è quello di alleggerire l’onere probatorio a carico dell’amministrazione mediante un’elencazione delle fattispecie che possono condurre all’esclusione dalla procedura, dall’altra si rileva l’inadeguatezza dello strumento in quanto “l’azione amministrativa è arrestata dall’instaurazione di altro giudizio in cui è contestato il grave illecito professionale”.

In questa ipotesi sarebbero dunque violati i principi di proporzionalità e parità di trattamento in quanto “la norma interna fa dipendere dalla scelta dell’operatore economico – di impugnare o meno la risoluzione in sede giurisdizionale – la decisione dell’amministrazione; a fronte di “gravi illeciti professionali” identici, allora, un operatore sarà escluso in quanto non ha proposto impugnazione giurisdizionale della risoluzione e l’altro, per averla proposta, non potrà essere escluso”.

In conclusione, il Consiglio di Stato formula alla Corte di Giustizia Europea la seguente questione pregiudiziale:

Se il diritto dell’Unione europea e, precisamente, l’art. 57 par. 4 della Direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici, unitamente al Considerando 101 della medesima Direttiva e al principio di proporzionalità e di parità di trattamento ostano ad una normativa nazionale, come quella in esame, che, definita quale causa di esclusione obbligatoria di un operatore economico il “grave illecito professionale”, stabilisce che, nel caso in cui l’illecito professionale abbia causato la risoluzione anticipata di un contratto d’appalto, l’operatore può essere escluso solo se la risoluzione non è contestata o è confermata all’esito di un giudizio”.

Leggi il testo integrale dell'ordinanza del Consiglio di Stato, sez. V, 03.05.2018, n. 2639.