Ennesima bocciatura per Consip: la madre di tutte le stazioni appaltanti indice gare restrittive della concorrenza

Giurisprudenza

30 giugno 2017|di Avv. Michele Leonardi consip

Continua il periodo nero per Consip che, oltre a dover gestire una profonda crisi interna che ha portato anche nelle ultime settimane alle dimissioni dei suoi organi apicali, si è vista pochi giorno orsono annullare da parte del Consiglio di Stato una procedura di gara indetta per l’affidamento di un servizio di cui avrebbe dovuto direttamente fruire poiché lesiva del principio di massima partecipazione. Ma andiamo con ordine.

Il 18 marzo 2016 (quindi ancora sotto la vigenza del D.Lgs. 163/2006) Consip indiceva gara per l’affidamento cumulativo dei servizi di advisory strategico, implementazione operativa delle iniziate individuate e consulenza legale. Per poter partecipare a tale bando la centrale di committenza richiedeva dei requisiti di capacità economica maturati nell’ultimo triennio decisamente elevati (fatturato globale non inferiore a 20 milioni di euro, fatturato specifico per servizi di consulenza stategico-organizzativa in ambito procurement sia pubblico che privato non inferiore a 3 milioni di euro ed infine fatturato specifico per servizi legali in ambito di diritto amministrativo non inferiore a 2 milioni di euro, di cui almeno un milione conseguiti per prestazioni di assistenza e di consulenza stragiudiziale legale in materia di contratti pubblici).

Avverso tale bando proponeva ricorso avanti il TAR Lazio il titolare di uno studio legale eccependo, tra le altre cose, che le attività prestazionali messe a gara presentavano ciascuna una propria autonomia funzionale e organizzativa e che pertanto non appariva giustificata la scelta di strutturare l’offerta in un unico cumulativo lotto o comunque con un singolo affidamento. Gli elevatissimi requisiti di natura economica richiesti per la partecipazione alla gara precludevano inoltre la partecipazione alla stessa da parte del professionista, riservando la presentazione delle offerte a pochi potenziali affidatari.

In prima istanza, la sezione II del TAR Lazio respingeva il ricorso con la sentenza n. 9952/2016, ravvisando come – nel merito – il nucleo della controversia risiedesse nella verifica dell’eventuale scindibilità del servizio di advisory da quello di supporto legale con la conseguente necessità di aggiudicare i due servizi mediante lotti separati (ai sensi dell’art. 2, co. 1-bis, del D.Lgs. 163/2006) o comunque mediante distinte procedure di selezione. Tutto ciò anche al fine di favorire l’accesso alle commesse pubbliche da parte delle piccole e medie imprese, obiettivo che trova ora una più compita disciplina all’interno del nuovo codice dei contratti pubblici.

Ad avviso dei giudici di prime cure, tuttavia, i servizi oggetto della procedura contestata presentavano una sostanziale complessità di fondo, volendo la Consip acquisire un servizio a contenuto complesso che non avrebbe potuto essere affidato con separati incarichi fiduciari. Il TAR rilevava pertanto l'infondatezza dell’assunto del ricorrente secondo il quale l’attività di supporto legale avrebbe potuto essere affidata sulla base di specifiche esigenze da individuare volta per volta, dovendosi privilegiare un modello organizzativo integrato nella gestione dei servizi posti in gara. Nell’adottare tale scelta, l’Amministrazione – a detta del Tribunale – aveva esercitato una valutazione discrezionale non censurabile in sede giudiziale, non emergendo paresi profili di illegittimità.

La sezione V del Consiglio di Stato si è trovata pertanto investita della questione a seguito del ricorso in appello avverso la sentenza del TAR Lazio presentato dal ricorrente, il quale con il gravame proposto ha contestato il mancato frazionamento della procedura di gara in lotti funzionali corrispondenti a prestazioni differenti facenti capo a distinte professionalità. I servizi oggetto di gara sarebbero peraltro, sempre a mente del ricorrente, caratterizzati tra di loro da un’eterogeneità tale da rendere inevitabilmente indeterminato l’oggetto del contratto da stipulare al termine della procedura di affidamento.

Nel proprio ricorso l’appellante ha evidenziato anche che la scelta di non suddividere in lotti funzionali l’affidamento de quo non sarebbe stata neppure supportata da un’adeguata motivazione sull’effettiva e concreta convenienza economica della scelta stessa, la quale peraltro poteva comportare (come in effetti ha comportato) un ristringimento del possibile numero di partecipanti, in spregio ai principi generali in materia di gare pubbliche.

Un secondo motivo di appello riguardava invece la natura del contratto posto in gara, il quale avrebbe avuto le caratteristiche dell’accordo quadro, forma tuttavia vietata dal previgente codice degli appalti per i servizi di natura intellettuale.

Ora, il collegio giudicante, nell’esaminare all'interno della sentenza n. 3310/2017 del 26 giugno le censure proposte dell’appallante avverso la sentenza di primo grado, ha stabilito che i livelli economici riferiti ai requisiti richiesti per la partecipazione alla gara in esame (“di dimensioni tali da superare una proporzione che sia indice di qualità professionale”) ha effettivamente ristretto la platea dei concorrenti a un numero limitatissimo, con conseguente effetto di sbarramento del mercato.

Quanto previsto da Consip nel proprio bando (mancata suddivisione in lotti e accorpamento di più servizi eterogenei in un unico affidamento) risulta essere secondo i giudici di Palazzo Spada doppiamente censurabile, dal momento che “si trascendono i limiti di concorrenza, ragionevolezza e proporzionalità che connotano il margine di insindacabilità per discrezionalità dell’Amministrazione. Da un lato infatti immotivatamente e irragionevolmente, e per quella che si presenta come la centrale di committenza dell’amministrazione pubblica italiana, accorpa in un’unica gara (c.d. lotto unico o macrolotto, di ben 23 milioni di euro) una tipologia di servizi (per di più non specifiche, visto il carattere ancora generale delle prestazioni) le cui così consistenti dimensioni economiche dovevano indurre al frazionamento in più lotti per non restringere irrazionalmente la partecipazione alla gare degli operatori del settore, in danno dei principi di concorrenza (e favor partcipationis), buon andamento dell'amministrazione, ragionevolezza e proporzionalità”.

Sotto un secondo profilo la scelta di Consip deve essere contestata in quanto “si impone un non adeguatamente giustificato preliminare accoppiamento e del tutto eterogeneo degli offerenti e ad effetti restrittivi, cioè della diffusa attività professionale propria dell’avvocato con attività di diverso ordine e natura, esercitabili come attività d’impresa e di fatto esercitate solo da un numero assai ristretto di figure, dalle molto consistenti rispettive dimensioni”. Prova ne sia che solo tre operatori economici hanno di fatto presentato offerta.

Il Consiglio di Stato da poi atto che le prestazioni oggetto dell’affidamento – sotto un profilo qualitativo – si riferiscono ad attività professionali e imprenditoriali contenutisticamente diverse tra loro e reciprocamente autonome e che a nulla vale l’assunto formulato da Consip secondo il quale si è ritenuto necessario sin dal principio (prevedendolo cioè già come oggetto di gara) il coordinamento tra le attività stesse, in quanto quest’ultimo “ragionevolmente, afferisce alla fase dell’esecuzione delle prestazioni, da modulare in ragione dell’esigenza del caso concreto: non già a priori, al momento della scelta dei soggetti, eterogenei, da coordinare. Non si tratta di un unico servizio, da istituire in blocco unitario ed esternalizzare anche funzionalmente, ma di due diversi servizi da poi coordinare al momento delle concrete prestazioni”.

La struttura della gara (e dell’offerta da presentare di conseguenza) prevista da Consip prevedeva gioco forza la necessità per gli operatori interessati di unirsi in raggruppamento temporaneo, modo di procedere non di per sé contrario all’ordinamento, ma che non può essere legittimamente avvallato “se arriva a comportare implicazioni restrittive della concorrenza come qui patentemente è”. Peraltro, qualora si intendesse restringere il novero dei partecipanti, tale scelta “deve – laddove il committente risponda alle regole pubblicistiche – corrispondere a una convenienza e un interesse di assoluto rilievo pubblico” e della stessa “occorre siano adeguatamente esternate le precise ragioni”.

Ecco perché Consip, secondo quanto precisato dal collegio giudicante, avrebbe dovuto concretamente dimostrare (e motivare) la dominanza della convenienza economica ad esperire una gara di appalto “monolotto” anziché suddivisa in più lotti funzionali, cosa che nel caso di specie non si è realizzata.

Sempre in questo contesto da notare l’ulteriore stoccata che il Consiglio di Stato rivolge a Consip laddove, nel considerare la necessità di adeguatamente motivare una siffatta struttura di gara, il collegio sostiene come la centrale di committenza avrebbe dovuto inoltre “dimostrare che, almeno per le attività di advisory strategico e di implementazione operativa delle iniziative individuate, l’apparente genericità delle prestazioni non possa significare, anche solo in parte, una sovrapposizione con i compiti di istituto per cui è stato costituito e configurato, con la sua particolare caratterizzazione, il committente in questione”.

L’esame del Consiglio di Stato della questione sottesa al ricorso in appello si sofferma poi sulla riconosciuta discrezionalità in capo all’Amministrazione nell’identificare le esigenze da soddisfare mediante il ricorso all’appalto. Sul punto la sezione osserva comunque come si debba sempre trattare di discrezionalità da esercitarsi in modo congruo e proporzionato, “anzitutto rispetto alle regole concorrenziali immanenti al mercato in cui si sostanzia la singola gara”. La pronuncia evidenzia invece come “l’assetto dell’offerente configurato dal bando … restringe decisamente la libertà di accesso alla gara, escludendone a priori – per quanto concerne l’interesse apprezzabile dell’appellante - finanche un ipotetico ampio studio legale”, avendo la stazione appaltante con il bando oggetto di impugnazione accumulato prestazioni di genere del tutto diverso e richiedendo requisiti quantitativi di livello patentemente eccessivo.

Ecco dunque che Consip ha fatto un uso distorsivo della discrezionalità alla stessa riconosciuta in quanto stazione appaltante, alterando, in senso sproporzionalmente restrittivo, la concorrenza contrattuale. Tutto questo “contro il principio di massima partecipazione”: la madre delle centrali di committenza ha di fatto operato “una restrizione eccessiva del mercato, una riduzione della platea dei potenziali offerenti (per di più privatamente preselezionati) sproporzionata alle ampie disponibilità del possibile mercato professionale, inadeguata quanto ai parametri di valutazione: insomma, … un’ingiustificata barriera all’ingresso della gara che nega i principi giuridici concorrenziali che sono alla base stessa del procedimento di evidenza pubblica”.

Come se non bastasse, il Consiglio di Stato accoglie anche il secondo motivo di appello proposto dal ricorrente concernente la violazione dell’art. 59, co. 1, del D.Lgs. 163/2006, il quale prevede(va) l’inammissibilità degli accordi quadro per la progettazione e – per quel che qui interessa – per gli altri servizi di natura intellettuale. Il collegio ha considerato che all’affidamento qui in discussione sia possibile conferire la qualificazione di accordo quadro, in quanto l’appaltatore può vedersi negato il singolo affidamento (pur considerato nel “blocco” appaltato) e allo stesso tempo (e in una certa misura) può non accettare determinati affidamenti. Non potendo discutere sulla conclamata natura intellettuale del servizio oggetto di gara, l’accordo quadro non era uno strumento contrattuale utilizzabile nel caso di specie.

Una sconfitta quindi su tutta la linea per Consip, la quale (ancora una volta), dall’alto della sua posizione, non risulta essere in grado di dare il buon esempio alle altre stazioni appaltanti, inciampando invece (più o meno volutamente) in marchiani errori ed in scelte di progettazione di gara scellerate o – quantomeno – altamente discutibili.

Leggi il testo integrale della sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 26.06.2017, n. 3110.