Il Consiglio di Stato si esprime sulla rilevanza del conflitto di interesse nell’aggiudicazione di una procedura di gara

Giurisprudenza

12 luglio 2017|di Avv. Michele Leonardi

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Quando una potenziale situazione di conflitto di interesse riscontrata durante lo svolgimento di una gara di appalto si palesa tale da determinare l’annullamento dell’intervenuta aggiudicazione definitiva della procedura stessa? Quali sono i presupposti e i principi che impongono di analizzare la presenza di eventuali situazioni di conflitto di interesse nelle procedure di affidamento? La sentenza n. 3415/2017 dell’11 luglio 2017 pronunciata dalla IV sezione del Consiglio di Stato ha dovuto affrontare tali quesiti e – nel confermare l’esito del giudizio di primo grado – ha fornito importanti indicazioni sulla rilevanza di (anche potenziali) ipotesi di conflitto di interesse.

Il caso sottoposto al giudizio del TAR Abruzzo – prima – e del Consiglio di Stato – poi – riguardava la procedura di affidamento da parte di un’amministrazione abruzzese dei servizi assicurativi RCA e All Risks, per i quali la stazione appaltante, in fase di progettazione, si era avvalsa del contributo esterno di un broker allo scopo di supportare l’amministrazione nella predisposizione del capitolato tecnico.

La società seconda classificata aveva adito il Tribunale amministrativo, impugnando l’aggiudicazione definitiva, sostenendo che tra il broker incaricato dalla stazione appaltante del servizio di consulenza e redazione degli atti di gara e la società aggiudicatrice del servizio vi sarebbero stati dei legati dovuti ad un complesso intreccio che coinvolgeva in particolare i vertici delle due compagini societarie. La ricorrente, pertanto, aveva denunciato l’esistenza di un conflitto di interesse (che avrebbe dovuto condurre all’esclusione della prima classificata), ai sensi degli artt. 42 e 80 del D.Lgs. 50/2016.

In particolare, la ricorrente evidenziava la presenza di alcuni rapporti sia di natura personale che societaria (nonché in alcuni casi anche di identità soggettive) tra l’organo di amministrazione del broker e quello dell’agenzia generale che faceva capo all’aggiudicataria, che di fatto avrebbe poi eseguito il contratto relativo ai servizi assicurativi (risultando in particolare beneficiaria delle provvigioni). Di contro la stazione appaltante, costituendosi in giudizio, osservava come, da una parte, i rapporti rilevati dalla ricorrente non avrebbero potuto comunque avvantaggiare la società aggiudicataria stante il criterio prescelto per affidare il servizio (prezzo più basso) e come, dall’altra, il soggetto che aveva partecipato ai lavori di predisposizione della gara fosse stato scelto a seguito di procedura selettiva pubblica.

Il TAR Abruzzo, con la sentenza n. 21/2017, accoglieva le tesi di parte ricorrente (ravvisando pertanto nella fattispecie sottoposta alla sua attenzione un conflitto di interesse rilevante ex art. 42, co. 2, del codice degli appalti) e, conseguentemente, annullava l’aggiudicazione in favore dell’impresa prima classificata, dichiarando inefficace il contrattato nelle more stipulato e prevedendo il subentro della ricorrente nel rapporto contrattuale con la stazione appaltante. Quest’ultima (e, separatamente, anche la società esclusa) presentavano quindi appello al Consiglio di Stato al fine di vedere riformata la sentenza di primo grado.

Per poter stabilire se il conflitto di interesse riscontrato dalla ricorrente in primo grado e confermato dal TAR Abruzzo fosse idoneo ad escludere la prima classificata con conseguente annullamento dell’aggiudicazione in suo favore, il Consiglio di Stato ha ricostruito i rapporti intercorrenti tra il broker e l’originaria aggiudicataria. Così facendo, è stato rilevato che un componente del CdA del broker fosse anche membro del CdA dell’agenzia generale che avrebbe di fatto gestito il contratto con la stazione appaltante e che tale soggetto fosse anche amministratore unico di una società che deteneva la maggioranza delle quote del broker. Non solo. Venivano poi in rilievo tutta una serie di legami di parentela tra i vari membri delle società coinvolte sia nella fase di progettazione della procedura che nella sua fase di aggiudicazione.

Ora, l’impresa appellante, che aveva subìto in primo grado l’annullamento dell’aggiudicazione in suo favore, ha innanzitutto sostenuto che nel caso di specie non si potesse configurare una situazione di conflitto di interesse rilevante ai sensi dell’art. 42, co. 2, de D.Lgs. 50/2016. Questo perché sarebbe venuto a mancare il presupposto fondante della norma, vale a dire l’impossibilità di inquadrare come “personale” (rectius dipendenti, secondo la lettura proposta dall’appellante) della stazione appaltante o del broker i soggetti coinvolti nella vicenda, con ciò contestando quanto sostenuto dal TAR in primo grado, il quale aveva esteso  il significato della norma anche a quei soggetti che comunque rivestono un’influente posizione sociale o di gestione amministrativa, in quanto portatori – giocoforza – di un maggior interesse finanziario o economico (o di altro rilevante interesse personale).

È bene precisare come infatti l’art. 42, co. 2, preveda che si configuri una situazione di conflitto di interesse quando “il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della Stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzare, in qualsiasi modo, il risultato, ha direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione”.

Il Consiglio di Stato considera tuttavia infondate le posizioni della società appellante, con ciò confermando quanto stabilito dal giudice di prime cure. Il collegio, innanzitutto, osserva come “la fattispecie descritta dall’art. 42, comma 2 del d.lgs. 50 del 2016 ha portata generale, come emerge dall’uso della locuzione ‘in particolare’, riferita alla casistica di cui al richiamato art. 7 d.P.R. n. 62 del 2013, avente dunque mero carattere esemplificativo” e come la lettura della norma fornita dall’appellante appaia in realtà riduttiva in quanto “considerate anche le finalità generali di presidio della trasparenza e dell’imparzialità dell’azione amministrativa – … l’espressione “personale” di cui alla norma in questione vada riferita non solo ai dipendenti in senso stretto (ossia, i lavoratori subordinati) dei soggetti giuridici ivi richiamati, ma anche a quanti, in base ad un valido titolo giuridico (legislativo o contrattuale), siano in grado di validamente impegnare, nei confronti dei terzi, i propri danti causa o comunque rivestano, di fatto o di diritto, un ruolo tale da poterne obiettivamente influenzare l’attività esterna”.

L’interpretazione in senso estensivo del concetto di “personale” risulta essere financo obbligata, laddove – diversamente sostenendo – si addiverrebbe secondo il Consiglio di Stato ad una contraddizione volta a “escludere dalla portata della norma – dalla manifesta funzione preventiva – proprio quei soggetti che più di altri sono in grado di condizionare l’operato dei vari operatori del settore (pubblici e privati) e dunque si darebbe vita a situazioni di conflitto che la norma vuol prevenire, ossia i componenti degli organi di amministrazione e controllo”.

Da quanto emerso in sede di giudizio, appare innegabile la stretta correlazione tra l’agente generale futuro esecutore in concreto del contratto e il broker incaricato di predisporre gli atti di gara (e anche di supportare l’amministrazione nella risposta ai chiarimenti pervenuti nonché durante le operazioni gara), situazione di fatto che coinvolgeva per di più soggetti che rivestivano posizioni apicali all’interno delle due società. Di qui, secondo il Collegio, l’operatività della fattispecie di cui all’art. 42, co. 2, del codice.

Respinti quindi i motivi proposti dalla società appellante, il Consiglio di Stato ha poi dovuto esaminare il ricorso in appello proposto anche dalla stazione appaltante, la quale ha dapprima ravvisato come la valutazione del presunto conflitto di interessi da parte del TAR sarebbe stata formalistica ed astratta, non avendo in particolare il giudice di primo grado tenuto conto di una serie di riscontri fattuali, dai quali emergerebbe l’impossibilità di configurare nel caso di specie la fattispecie di cui all’art. 42, co. 2.

In particolare, secondo la stazione appaltante, il broker avrebbe svolto in realtà un’attività marginale, esterna e prodromica al procedimento selettivo ed inoltre il criterio di aggiudicazione del prezzo più basso, in quanto automatico ed escludente qualsiasi valutazione di carattere discrezionale, non avrebbe potuto condizionare l’esito della procedura in favore di uno degli operatori economici, di talché – ha concluso l’amministrazione – “in alcun modo il soggetto in potenziale conflitto di interessi ha precostituito le condizioni per alterare la par condicio dei concorrenti, influenzare le valutazioni della commissione o comunque condizionare gli esiti della gara”.

I giudici di Palazzo Spada, tuttavia, non hanno considerato fondate le doglianze sollevate dalla stazione appaltante e nel fare ciò hanno in primo luogo richiamato un orientamento costante della giurisprudenza (sviluppatosi nella vigenza del precedente codice ma tuttavia non contradditorio all’attuale disciplina dell’art. 42) secondo il quale “le situazioni di conflitto di interessi, nell’ambito dell’ordinamento pubblicistico non sono tassative, ma possono essere rinvenute volta per volta, in relazione alla violazione dei principi di imparzialità e buon andamento sanciti dall’art. 97 Cost., quando esistano contrasto ed incompatibilità, anche solo potenziali, fra il soggetto e le funzioni che gli vengono attribuite”. Perciò ogni situazione che determini anche un solo contrasto potenziale tra il soggetto e le funzioni allo stesso attribuite deve considerarsi rilevante nell’ottica valutativa della sussistenza di un conflitto di interesse.

Prosegue il collegio, rifacendosi ad altri precedenti giurisprudenziali, evidenziando come “le regole sull’incompatibilità, oltre ad assicurare l’imparzialità dell’azione amministrativa, sono rivolte ad assicurare il prestigio della Pubblica Amministrazione ponendola al di sopra di ogni sospetto, indipendentemente dal fatto che la situazione incompatibile abbia in concreto creato o non un risultato illegittimo”.

In tale ottica, secondo la IV sezione, si colloca anche il nuovo art. 42, le cui ipotesi si riferiscono a situazioni in grado di compromettere, anche solo potenzialmente, l’imparzialità richiesta alle pubbliche amministrazioni nell’esercizio del potere discrezionale. Ora, nel caso di specie “i complessi rapporti personali e societari tra il broker incaricato di approntare i Capitolati di gara (nonché, … incaricato altresì di fornire eventuali chiarimenti nel periodo di presentazione delle offerte) con una delle offerenti, per il tramite dell’agente generale di quest’ultima, apparivano sicuramente idonei ad integrare, perlomeno, un astratto vulnus del prestigio dell’azione amministrativa, come in precedenza delineato”.

Al fine di rafforzare la propria tesi interpretativa, il Consiglio di Stato richiama infine la nozione di conflitto di interesse delineata dall’art. 24 della direttiva 2014/24/UE, la quale ha una portata indiretta ed ipotetica, dal momento che la situazione di conflitto può essere integrata laddove il soggetto interveniente può anche soltanto “influenzare il risultato di tale procedura o ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità”.

Leggi il testo integrale della sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 11.07.2017, n. 3415.